Il Rinascimento in generale potrebbe essere considerato un periodo neoclassico, in quanto le opere antiche erano considerate i modelli più sicuri per la grandezza moderna. Il neoclassicismo, tuttavia, di solito connota atteggiamenti più ristretti che sono allo stesso tempo letterari e sociali: un saggio temperamento mondano dell’entusiasmo, una predilezione per i modi provati, un senso gentiluomo di correttezza ed equilibrio. La critica del XVII e XVIII secolo, in particolare in Francia, era dominata da queste norme oraziane. Critici francesi come Pierre Corneille e Nicolas Boileau esortavano ad una rigida ortodossia riguardo alle unità drammatiche e alle esigenze di ogni genere distinto, come se non tenerne conto significasse cadere nella barbarie. Il poeta non doveva immaginare che il suo genio lo esentasse dalle leggi stabilite dell’artigianato.
Il neoclassicismo ebbe un impatto minore in Inghilterra, in parte perché il puritanesimo inglese aveva mantenuto viva una parte dell’originaria ostilità cristiana all’arte secolare, in parte perché gli autori inglesi erano nel complesso più vicini al gusto plebeo di quanto lo fossero i francesi orientati alla corte, e in parte per il difficile esempio di Shakespeare, che infrangeva magnificamente tutte le regole. Nemmeno il classicista relativamente severo Ben Jonson riuscì a negare la grandezza di Shakespeare, e il tema del trionfo del genio shakespeariano sulle imperfezioni formali viene ripreso dai maggiori critici britannici, da John Dryden e Alexander Pope a Samuel Johnson. Anche la scienza di Newton e la psicologia di Locke operarono sottili cambiamenti sui temi neoclassici. L’Essay on Criticism di Pope (1711) è un compendio oraziano di massime, ma Pope si sente obbligato a difendere le regole poetiche come “Nature methodiz’d” – un presagio di ben altre inferenze letterarie dalla Natura. Anche il dottor Johnson, pur rispettando i precedenti, era soprattutto un campione del sentimento morale e della “mediocrità”, l’appello ai tratti generalmente condivisi. La sua preferenza per la sincerità schietta lo lasciò insofferente a convenzioni intricate come quelle dell’elegia pastorale.
Il declino del neoclassicismo non è sorprendente; la teoria letteraria si era sviluppata molto poco durante due secoli di fermento artistico, politico e scientifico. Il nuovo importante genere del XVIII secolo, il romanzo, ha attinto la maggior parte dei suoi lettori da una borghesia che aveva poco bisogno di dicta aristocratici. Un culto longiniano del “sentimento” si fece gradualmente strada, in vari paesi europei, contro i canoni neoclassici di proporzione e moderazione. L’enfasi si spostò dalla preoccupazione di soddisfare criteri fissi allo stato soggettivo del lettore e poi dell’autore stesso. Lo spirito del nazionalismo entrò nella critica come preoccupazione per le origini e la crescita della propria letteratura nativa e come stima per fattori non aristotelici come “lo spirito dell’epoca”. La coscienza storica prodotta dalle teorie del progresso letterario e le teorie primitiviste che affermano, come disse un critico, che i tempi “barbari” sono i più favorevoli allo spirito poetico. Il nuovo riconoscimento dell’estraneità e del forte sentimento come virtù letterarie ha prodotto varie mode di gusto per la sublimità nebbiosa, i sentimenti da cimitero, il medievalismo, l’epica norrena (e i falsi), i racconti orientali e i versi degli aratori. Forse i più eminenti nemici del neoclassicismo prima del XIX secolo furono Denis Diderot in Francia e, in Germania, Gotthold Lessing, Johann von Herder, Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller.