Dopo diversi decenni di guerre liturgiche, pochi ignorano la turbolenta storia della liturgia post-conciliare da quando il Nuovo Ordine della Messa (Novus Ordo Missae) fu promulgato 50 anni fa, il 3 aprile 1969, da papa Paolo VI con la sua costituzione apostolica, Missale Romanum. Il Novus Ordo fu prodotto in soli cinque vertiginosi anni da un comitato di vescovi, guidato da un gruppo di esperti. Il processo stesso era una novità, in netto contrasto con la crescita graduale e organica (in più di 1500 anni) della liturgia che sostituiva.

La costituzione del Concilio Vaticano sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium, fu promulgata da Paolo VI il 4 dicembre 1963. Poco tempo fu perso per la sua attuazione. Con il motu proprio Sacram Liturgiam, del 25 gennaio 1964, Papa Paolo VI eresse un comitato per la revisione di tutti i riti liturgici, da chiamare Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia (Consilium), “il comitato per l’esecuzione della costituzione sulla Sacra Liturgia”. Il primo presidente del comitato fu il cardinale Giacomo Lercaro di Bologna, e il suo segretario fu il controverso padre Annibale Bugnini.

Il Consilium è senza dubbio il comitato più ambizioso, ma con scarso successo nella storia della Chiesa. I suoi membri erano numerosi e di diffusione internazionale. I suoi 42 membri iniziali (poi 51) erano per lo più vescovi; ad assisterli c’erano più di 200 consulenti ufficiali e non ufficiali. Nonostante l’uso di gruppi di lavoro, le sessioni plenarie del Consilium erano ingombranti e proceduralmente difettose.

La valutazione della prima riunione plenaria del Consilium nel diario di Ferdinando Antonelli OFM, un membro effettivo (poi cardinale), non era lusinghiera: “Semplicemente un’assemblea di persone, molte delle quali incompetenti, e altre ben avanzate sulla strada della novità. Le discussioni sono estremamente frettolose… e le votazioni sono caotiche… Su 42 membri, ieri sera eravamo 13, nemmeno un terzo dei membri.”

All’ottava riunione, nell’aprile 1967, trovò la partecipazione migliorata, anche se lontana dal pieno, anche se rimanevano gravi problemi procedurali, soprattutto il voto per alzata di mano. “Ma nessuno conta chi ha alzato la mano e chi non l’ha fatto … È vergognoso”. Anche in questa fase tardiva non veniva registrato alcun verbale.

La vera forza del Consilium era don Bugnini. Antonelli osservò nel 1967 che “don Bugnini ha un solo interesse: premere e finire”. L’oratoriano francese Louis Bouyer, figura di spicco del Movimento liturgico preconciliare e consultore del Consilium, ricorda Bugnini nei suoi Mémoires come una “canaglia dalla bocca larga… un uomo tanto privo di cultura quanto di onestà” alle cui “manovre” il cardinale Lercaro era “assolutamente incapace di resistere”. Quando Bugnini si trovò di fronte a un’opposizione “non solo massiccia, ma, si può dire, quasi unanime”, egli si fece forza dichiarando che “Il Papa lo vuole! Da Paolo VI stesso Bouyer apprenderà che Bugnini fece pressione sul papa per approvare l’eliminazione dei salmi maledicenti, facendo valere una raccomandazione unanime, ma inesistente, del Consilium.

Con cambiamenti incrementali la liturgia fu rielaborata dal Consilium fino alla ricostruzione. L’Istruzione Inter Œcumenici, datata 26 settembre 1964, apportò diversi cambiamenti alla Messa, come la rimozione dell’Ultimo Vangelo, l’introduzione di preghiere d’offerta e di un Paternoster recitato in comune, e l’autorizzazione all’uso della lingua vernacolare tranne il prefazio e il canone. Nel novembre 1964, il digiuno eucaristico fu ridotto a un’ora. Nel marzo 1965, fu dato un permesso condizionato per la concelebrazione e la Comunione sotto entrambi i tipi su base limitata. Un mese dopo fu permesso di dire il prefazio in volgare.

Nell’aprile 1967, un’istruzione sulla musica sacra permise l’uso di nuova musica e strumenti diversi dall’organo nella Messa. Il mese successivo, l’Istruzione Tres abhinc annos ordinò la rimozione della maggior parte dei gesti sacri del celebrante all’altare, e permise che il canone stesso fosse detto in volgare e, di conseguenza, ad alta voce.

Nel frattempo, fuori dall’occhio pubblico, il Consilium aveva ideato, in parallelo alle riforme pubbliche, una nuova forma di Messa nel maggio 1966. Al sinodo dei vescovi dell’ottobre 1967 a Roma questa nuova forma, chiamata Missa Normativa, debuttò davanti ai padri sinodali, celebrata da don Bugnini. Essa rivelava rubriche semplificate, una liturgia della Parola più lunga e un offertorio sostanzialmente nuovo, e l’antico canone romano fu sostituito da quella che oggi è la Terza Preghiera Eucaristica.

La reazione dei vescovi non fu affatto entusiasta. Solo 71 padri sinodali diedero un’approvazione incondizionata, mentre 62 volevano dei cambiamenti, 43 lo rifiutarono completamente e quattro si astennero. Il cardinale John Heenan di Westminster fu educatamente sprezzante, dicendo al sinodo che pochi dei consultori avrebbero potuto essere parroci, e che la Missa Normativa avrebbe ridotto le congregazioni parrocchiali a “soprattutto donne e bambini”. Il giudizio di Antonelli fu conciso: “Il sinodo dei vescovi non fu un successo per il Consilium”

Bugnini e il Consilium andarono avanti imperterriti, anche se il cardinale Lercaro fu mandato in pensione. Tre celebrazioni a porte chiuse della nuova forma, con alcune modifiche, furono fatte alla presenza di Paolo VI. Nel maggio 1968 erano state approvate tre nuove preghiere eucaristiche. Dopo altre modifiche e deliberazioni, Paolo VI diede la sua approvazione scritta al Novus Ordo il 6 novembre 1968. La costituzione apostolica Missale Romanum, che consegnò il Novus Ordo alla Chiesa, fu firmata il 3 aprile 1969, e il Novus Ordo fu pubblicato il 2 maggio per prepararne l’attuazione in tutta la Chiesa il 30 novembre.

Il Novus Ordo fu preceduto da un’istruzione generale, le cui inadeguatezze spinsero un gruppo di teologi già preoccupati dal Novus Ordo a comporre un “Breve studio critico del nuovo ordine della messa”. Prima che potesse essere inviato a Paolo VI, fu divulgato alla stampa. Si apriva con una lettera di accompagnamento firmata da due cardinali un tempo potenti, Ottaviani e Bacci, ed è diventato noto da allora, inaccuratamente, come l’Intervento Ottaviani. Era una critica approfondita delle implicazioni teologiche del Novus Ordo, che i suoi autori ritenevano essere dannoso per la fede e un allontanamento significativo dalla comprensione consolidata della Messa. Al centro delle loro preoccupazioni c’era la definizione della Messa nell’istruzione generale, che la descriveva come una cena ma non un sacrificio. La loro critica portò alla pubblicazione di un’istruzione generale corretta nell’edizione del 1970 del messale; altrimenti, il cavallo della riforma era scappato.

In Inghilterra il Novus Ordo, in particolare la conseguente soppressione del rito fino ad allora tradizionale della Messa, provocò allarme dentro e fuori la Chiesa. Un gruppo di più di 50 eminenti scrittori, pensatori e artisti, compresi due vescovi anglicani, fece un appello al papa nel 1971. Esso implorava la sopravvivenza del rito tradizionale della messa, che “appartiene alla cultura universale” oltre che alla Chiesa. È stato chiamato in onore del firmatario il cui nome sembra aver colpito maggiormente Paolo VI: Agatha Christie. Il conseguente indulto papale che permette un uso limitato del rito tradizionale della Messa, solo in Inghilterra e Galles, è noto da allora come l’indulto di Agatha Christie.

Tuttavia molti lo considerarono un cambiamento positivo. Forse la maggior parte non era né allarmata né contenta, ma accettava i cambiamenti per abituale obbedienza alla Chiesa. Tuttavia, con il Novus Ordo che ha ormai 50 anni, sembra opportuno rivalutare la riforma, non da un punto di vista progressista o conservatore, ma dal punto di vista del Concilio Vaticano stesso.

In una conferenza del 2016, il professor Stephen Bullivant ha sostenuto che le riforme liturgiche ordinate dal Concilio, con la loro enfasi sulla partecipazione attiva, erano “manifestamente motivate, e giustificate, dal pensiero e dalle preoccupazioni neo-evangelistiche”, sebbene la “nuova evangelizzazione” non fosse ancora stata coniata. Nonostante la sua antica eredità cristiana, l’Europa era giustamente vista come bisognosa di evangelizzazione tanto quanto le culture non cristiane dell’Africa e dell’Asia. Così la disposizione del Concilio per un “adattamento più radicale della liturgia” nei “territori di missione” informò la riforma liturgica nelle culture tradizionalmente cristiane che ora si autoidentificavano come territori di missione, la lingua e la musica vernacolari essendo un caso esemplare.

Lo scopo dichiarato dal Concilio nella riforma della liturgia era “imprimere un vigore sempre maggiore alla vita cristiana dei fedeli”, cercando al contempo “di rafforzare tutto ciò che può aiutare a chiamare l’intera umanità nella casa della Chiesa”. Si può affermare il successo della riforma in quest’ultimo obiettivo quando si guarda oggi ai classici territori di missione dell’Africa e dell’Asia. Il successo nel primo scopo, quando si guarda alle culture cristiane consolidate dell’Europa e delle Americhe, è più difficile da rivendicare. Una Messa riformata specificamente per affrontare la situazione moderna – o piuttosto quella degli anni ’60 – si è scontrata con un drastico e largamente consistente declino della partecipazione alla Messa.

Bullivant identifica il metro di giudizio del Concilio stesso per le riforme liturgiche: che esse siano “pastoralmente efficaci al massimo grado”. L’autentica efficacia pastorale è difficile da concedere visto il declino della partecipazione alla liturgia riformata e la rinascita della liturgia tradizionale, soprattutto tra i giovani. Alla luce di ciò, Bullivant sostiene che la logica dei decreti del Concilio richiede che la liturgia riformata sia rivisitata. Possiamo farlo? Osiamo non farlo?

Fr Hugh Somerville Knapman OSB è l’autore di Ecumenismo di sangue: Heavenly Hope for Earthly Communion (2018)

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